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16 days of activism

16 GIORNI DI ATTIVISMO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE

Quest’anno la Campagna di 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere sarà incentrata sui più vulnerabili. I 16 giorni si collocano tra due importanti ricorrenze: 25 Novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne e 10 Dicembre, giornata internazionale per i diritti umani.

Comunemente conosciuta come la ’16 Days Campaign ‘, la campagna “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” viene sostenuta da cittadini e organizzazioni in tutto il mondo per promuovere la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze. La campagna è stata ideata dal primo istituto per la leadership mondiale delle donne (Global Women Leadership Institute) nel 1991 coordinato dal Centro per la leadership mondiale delle donne (Center for Women’s Global Leadership).

La decisione di lanciare una campagna annuale di 16 giorni è nata dalla necessità di sottolineare che la violenza contro le donne viola i diritti umani. La campagna si collega a due importanti ricorrenze: il 25 novembre (giornata internazionale sulla violenza contro le donne) e il 10 dicembre (giornata internazionale per i diritti umani). I sedici giorni della campagna fanno così da ponte a queste giornate per chiedere l’eliminazione di tutte le forme di violenza di genere.

A sostegno di questa iniziativa, la campagna del Segretario Generale delle Nazioni Unite sollecita un’azione mondiale incentrata sulla sensibilizzazione e sulla necessità di un impegno per mettere in luce il fenomeno e attuare misure per prevenirlo e contrastarlo.

Quest’anno, la campagna UniTE delle Nazioni Unite connoterà i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere incentrandosi sul tema “Nessuno deve essere lasciato indietro: poniamo fine alla violenza contro le donne e le ragazze”. Il tema della campagna mette in primo piano i più vulnerabili. In particolare i rifugiati, i migranti, le minoranze, i popoli indigeni e le popolazioni colpite da conflitti e disastri naturali. Un tema e un approccio che rispecchiano il principio fondamentale dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Come negli anni precedenti, il colore arancione farà da sfondo alla campagna: edifici e luoghi simbolici del mondo saranno illuminati o decorati in arancione.

Oggi la campagna è caratterizzata da una notevole diversificazione di temi, messaggi, attività e partenariati. Il Centro per la leadership mondiale delle donne focalizza la sua campagna sull’istruzione, dando continuità all’adesione raccolta dalla campagna del 2016, quando oltre 700 organizzazioni di 92 paesi sostenerono la campagna “Dalla pace in casa alla pace nel mondo: rendere l’educazione sicura per tutti! “.

La campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere è un’importante opportunità per evidenziare il problema della violenza di genere, promuovere l’uguaglianza, la non discriminazione e il rispetto dei diritti umani.

Si può aderire alla campagna delle Nazioni Unite, condividendo fotografie, video e messaggi su: facebook e twitter usando gli hashtag #orangetheworld e #16days.

Fonte: ONU Italia

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ue giustizia sociale

EUROPA: CRESCE GIUSTIZIA SOCIALE, L’ITALIA AGLI ULTIMI POSTI

Secondo il rapporto 2017 stilato dall’Istituto Bertelsmann Stiftung, l’Europa è migliorata sotto il profilo della giustizia sociale. L’Italia scala però al 25esimo posto su 28, perdendo una posizione rispetto a un anno fa, a causa soprattutto dell’alta disoccupazione giovanile.

In Europa cresce non solo l’economia, ma anche la giustizia sociale, che sta per uguaglianza, partecipazione dei cittadini, accessibilità. Il divario Nord-Sud però resta e l’Italia si posiziona negli ultimi posti della classifica. È quanto emerge dal rapporto 2017 che sarà presentato oggi, giovedì 16, al Social Summit di Goteborg, stilato dall’Istituto Bertelsmann Stiftung.

Sui 28 Paesi dell’Ue, l’Italia è 25esima, perdendo una posizione rispetto a un anno fa e sono soprattutto i giovani “a risentire – si legge nel rapporto – di chiari svantaggi strutturali”. In cima alla classifica ci sono ancora una volta i Paesi scandinavi, al fondo dopo di noi Bulgaria, Romania e Grecia. L’indice della disuguaglianza sociale tiene conto di sei aree, salute, coesione sociale e non discriminazione, accesso al mercato del lavoro, educazione, povertà, equità intergenerazionale. 

Nell’Ue le opportunità di partecipazione dei cittadini alla vita sociale migliorano e ciò è dovuto principalmente alla ripresa del mercato dell’occupazione, cresciuto in 26 su 28 stati rispetto a un anno fa. Il tasso di disoccupazione dell’Ue è sceso all’8,7 per cento. Nel 2013, apice della lunga crisi sociale, era ancora all’11 per cento. Fanno meglio anche i Paesi più in difficoltà, ma i loro dati restano preoccupanti: in Grecia i giovani senza lavoro sono il 47,3% (nel 2013 erano il 58,3), la Spagna è passata dal 26,2% al 19,7.

Ma la ripresa va a due velocità, e nei Paesi in crisi del Sud, bambini e adolescenti sono a rischio povertà ed emarginazione. Si registrano miglioramenti anche nel rischio di povertà (23,4 la media Ue, 28,7 la media per l’Italia, che sale se consideriamo i bambini e i giovani il 33,5). E nell’opportunità di istruzione, con il calo dell’abbandono scolastico, anche se gli autori del rapporto si dicono preoccupati da stati come “Ungheria e Polonia dove i governi della destra populista esercitano una forte influenza sul sistema d’istruzione, annullando i successi precedenti”.

I progressi, in Italia, sono ancora troppo cauti. Il settore in cui si piazza meglio è la salute (19esima), ma in media l’aspettativa di vivere senza limitazioni e malattie si è ridotta a 62,7 anni, due in meno rispetto al 2006. E la sanità nel Sud Italia arranca con lunghe liste d’attesa e una qualità minore rispetto al Nord e al Centro.

Buoni alcuni risultati sul piano delle misure ambientali, con la percentuale di energia da fonti rinnovabili crescita dall’8,3% del 2006 al 17,5 (l’Italia è al 13° posto), il rovescio della medaglia è che abbiamo il maggior numero di auto procapite “anche per la scarsità del trasporto pubblico” e “l’inquinamento avrebbe bisogno di una strategia politica più forte”.

Fonte: LaStampa

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