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Carte di credito, nuove regole Ue. Cosa cambia

Il regolamento targato Ue prevede un tetto massimo alle cosiddette commissioni di interscambio.

Novità in vista per carte di credito e carte di debito, sia per i consumatori che per quanto riguarda i commercianti. Entra infatti in vigore il nuovo regolamento europeo che rende più trasparenti i costi dei pagamenti elettronici, introducendo un tetto alle commissioni.

LE COMMISSIONI DI INTERSCAMBIO

Il nuovo regolamento targato Ue prevede un tetto massimo alle cosiddette commissioni di interscambio (Interchange Fees), ossia quelle eventualmente corrisposte alla banca che ha emesso la carta di pagamento ogni volta che una carta di credito o di debito viene utilizzata per un pagamento presso un esercizio commerciale. La commissione di interscambio è successivamente dedotta dall’ammontare finale che il commerciante riceve dalla sua banca per la transazione. Le commissioni di interscambio sono pagate indirettamente da tutti i dettaglianti, che le riversano poi su tutti i consumatori aumentando i prezzi. Secondo quanto reso noto dalla Commissione Ue, ora tali commissioni non potranno mai superare lo 0,2% del valore della transazione per le carte di debito e lo 0,3% per quelle di credito.

CANALI DI PAGAMENTO

Come noto, molte carte di credito hanno la possibilità di utilizzare diversi canali di pagamento. Ad esempio in Belgio la stessa carta permette di usare Bancontact e Maestro, in Danimarca troviamo il circuito Visa e Dankort, in Italia l’esempio è quello di Bancomat/PagoBancomat e Maestro.

Con le nuove regole introdotte dall’Unione europea, i consumatori potranno scegliere il canale che offre il miglior rapporto costo/efficacia del pagamento con la facoltà di chiedere alla loro banca una carta unica, mentre il commerciante potrà dotarsi di un canale preferito lasciando però che il consumatore scelga quello di sua preferenza.

Fonte: Qui Finanza

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Ue: dopo le quote latte arrivano le quote vino. Cosa cambia per l’Italia

Coldiretti contraria: “Alimenta le speculazioni”.

Dopo le quote latte, che hanno riempito buona parte delle cronache negli ultimi 15 anni, ecco l’ultima idea dell’Unione Europea: le quote vino. I produttori – per mettere a dimora le barbatelle in un terreno vergine precedentemente destinato ad altre colture – devono infatti munirsi dell’autorizzazione all’impianto in questo caso le quote sono addirittura preventive rispetto alla produzione e regolano la superficie dei terreni vitati. Dunque, di fatto, un contingentamento delle quote di produzione.

Il regolamento europeo che disciplina l’intera materia prevede che ogni anno i Paesi membri possano concedere ai viticoltori di mettere a dimora nuove piantine per una superficie totale che non ecceda l’1% dell’esistente. Considerato che i vigneti Italia si estendono per 640mila ettari, l’eventuale nuova superficie disponibile si limita a 6.400 ettari. Le assegnazioni avvengono comunque ‘pro rata’, cioè con l’alta probabilità di ottenere meno terreno rispetto a quanto richiesto e rinunciare dunque all’idea di allargare la produzione. A quel punto vincono i più furbi, coloro che hanno sparato altissimo in sede di richiesta sapendo in partenza che avrebbero ottenuto il via libera solo per una parte, quella di cui hanno effettivamente bisogno.

“L’ assegnazione pro rata dimostra di non funzionare perché alimenta le speculazioni – conferma a LiberoQuotidiano Domenico Bosco, responsabile vino di Coldiretti – ma per noi non è una novità: lo scorso autunno, quando era in discussione il decreto approvato a dicembre, avevamo fatto presente al ministro che presentava dei rischi”.

Scartati i bandi che avrebbero messo in gioco una burocrazia pletorica e costosa, sarebbe stato sufficiente introdurre in partenza un tetto per le richieste. “In realtà noi avevamo fatto tre richieste – puntualizza Bosco – un plafond per le domande, uno per le assegnazioni e l’esenzione per le piccole superfici, destinate spesso al completamento di vigneti già esistenti che non ha senso inserire nel riparto nazionale. Richieste che riporteremo al tavolo del ministero”.

Fonte: Qui Finanza

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