Archivi tag: pensione

pensionati a meno di 1000 euro al mese

6 milioni di pensionati vivono con meno di 1000 euro al mese

Quasi sei milioni di pensionati (5,96) in Italia (il 38% del totale) hanno redditi da pensione inferiori a 1.000 euro al mese.

Lo rileva l’Inps nel Rapporto annuale presentato oggi spiegando che questa fascia di pensionati assorbe solo il 15,6% della spesa complessiva ricevendo nel 2015 poco più di 43 miliardi di euro. Si tratta soprattutto di donne (3,95 milioni). La percentuale di chi ha redditi bassi è molto inferiore al 2014 (42,5%) perché quest’anno sono state riviste le banche dati e l’importo annuo totale è stato diviso per 12 invece che per 13 mensilità. Nella sua relazione il presidente dell’Istituto di previdenza è quindi tornato a chiedere interventi di contrasto alla povertà, una riforma del sistema che metta fine alle salvaguardie “costose e inadeguate”, ma innescate dalla legge Fornero. Boeri si è quindi augurato che lo Stato “incentivi il congedo di paternità”.

Le pensioni.

Nel complesso i pensionati sono 15,6 milioni per 21 milioni di prestazioni e 275,2 miliardi di importo lordo annuo di reddito pensionistico. La percentuale di coloro che può contare su meno di 1.000 euro è comunque diminuita rispetto al 2014 passando dal 40,3% (con i nuovi criteri) al 38%. Con i nuovi criteri è naturalmente aumentata di numero anche la fascia dei ‘benestanti’: coloro che possono contare su oltre 3.000 euro di reddito pensionistico al mese sono circa un milione (il 6,5% del totale), per circa tre quarti uomini (745.238 a fronte di 265.140 donne). La fascia tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese (3,4 milioni di persone è pari al il 22% del totale dei pensionati mentre quella tra i 1.500 e i 2.000 è pari al 18,1%. Le prestazioni previdenziali sono 17,1 milioni (quasi un terzo delle quali, 5,8 milioni,  di anzianità o anticipate) mentre quelle assistenziali sono 3.837.802.

L’articolo 18.

Dal presidente dell’Inps è poi arrivato un assist al governo Renzi. Nel corso delle presentazione della sua relazione annuale, Boeri ha spiegato che la cancellazione dell’articolo 18 con il superamento della reintegra per i licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo previsto dal Jobs act non ha portato a un aumento dei licenziamenti: nel 2015 l’incidenza dei licenziamenti è diminuita del 12% sull’anno precedente. Secondo Boeri, le norme del Jobs act sui contratti a tutele crescenti hanno inciso sulle stabilizzazioni dei contratti nelle imprese soprattutto tra i 15 e i 19 dipendenti, anche se l’aumento dell’occupazione è stato determinato soprattutto dai massicci incentivi sul fronte della contribuzione. Nel 2015 i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di oltre mezzo milione rispetto all’anno precedente ma sono destinati nel 2016 a stabilizzarsi su questo livello.

Legge 104, più controlli.

La spesa per i permessi previsti dalla legge 104/92 da usare in caso di disabilità grave o per assistere familiari disabili costa oltre tre miliardi l’anno con forti differenze tra il lavoro pubblico e privato. Per Boeri è “troppo alta” l’incidenza di questi permessi nel pubblico impiego, con sei giorni pro capite l’anno a fronte di 1,5 giorni nel settore privato (maggiore quindi di quattro volte). Nel settore pubblico 440.000 persone (su circa 3 milioni di lavoratori complessivi) usufruiscono dei permessi previsti dalla legge 104, mentre nel privato i titolari sono 450.000 su una platea molto maggiore. Il presidente dell’Inps chiede quindi di aumentare i controlli.

Fonte: associazionedifesaconsumatori.it

Condividi:
Facebooktwitterlinkedinmail

Donne, come evitare il rischio della pensione più leggera

Già ora prendono il 36% in meno. Errori comuni: dai tempi sbagliati alla reversibilità mancata.

Guadagnano di meno, hanno contratti a singhiozzo, e spesso accumulano buchi contribuitivi per la maternità o la cura dei familiari. Per questo, le future pensioni delle donne italiane saranno più amare. Già oggi sono in media più basse del 36% rispetto a quelle degli uomini. Ora, con la riforma del sistema e il passaggio al contributivo, questa differenza rischia di allargarsi.

La pensione di scorta è quindi diventato un tema centrale per le giovani donne. Si realizza con i fondi pensione complementari, con le assicurazioni, con il Tfr oppure con i molti fai-da-te del salvadanaio da rompere solo nell’ultimo giorno di lavoro. I soldi messi da parte serviranno, un giorno, a neutralizzare il temuto tasso di sostituzione, vale a dire il rapporto tra la prima rata della pensione e l’ultimo stipendio. Mettersi nell’ordine di idee di dover rinunciare a una pizza oggi per provvedere a un domani non è automatico.

Occorre poi evitare molti errori lungo il cammino.

Rimandare il problema della pensione è uno di questi. La variabile tempo è infatti un importante alleato delle donne. «Meglio se questo passo viene fatto appena messo piede nel mondo del lavoro» dice Giuseppe Romano, capo ufficio studi di Consultique. Proprio perché guadagnano di meno, le donne devono versare i contributi per più tempo. Questo per riuscire ad arrivare a costruirsi un montante sostanzioso, vale a dire un gruzzolo complessivo bello grande su cui verrà poi calcolata la loro pensione.

pensioni-donna-kpzC-U1080972529104CVF-680x407@LaStampa.it

Un altro errore frequente è quello di delegare, nel corso della vita, tutta l’amministrazione patrimoniale e finanziaria al marito. E quindi provvedere solo dopo una certa età, quando è troppo tardi verso i 50 anni, a uno strumento integrativo per la pensione. «Delegare a terzi senza informarsi è un errore comune che può portare a conseguenze importanti, soprattutto se la delega è data a persone che non hanno esperienza per orientarsi nelle scelte di natura finanziaria o previdenziali – dice Dario Moltrasio, Head of Bank Distribution di Zurich in Italia -. Se c’è delega va affidata a consulenti in grado di guidarci nelle scelte di pianificazione finanziaria e previdenziale e di aggiornare le stesse nel tempo».

Fondi d’investimento e reversibilità

Se invece il marito ha un suo strumento integrativo come un fondo, è bene sapere che è possibile ottenere la reversibilità. Non tutti i fondi e le polizze prevedono però questa formula. La scelta deve essere fatta anche in base a questo criterio che un giorno potrà rimpolpare la pensione della donna. «Da poco stanno prendendo piede i fondi così detti cash back che restituiscono quasi tutto il capitale versato e coinvolgono anche il coniuge o un’altra persona indicata – spiega Romano -. Si tratta di una formula interessante che sicuramente è più equa».

Maternità

Figli e pause per la cura dei familiari sono un macigno sull’assegno vitalizio di domani. Qui purtroppo c’è poco da fare. Per le donne rappresenta una penalizzazione pesante. «L’unica soluzione valida per minimizzare l’impatto di una carriera lavorativa contraddistinta da tante interruzioni della contribuzione previdenziale è quella di ricorrere alla contribuzione volontaria che consente di fatto di maturare i requisiti previdenziali anche durante le interruzioni dell’attività lavorativa» afferma Moltrasio. Le famiglie però hanno budget sempre più limitati. Trovare spazi anche per versare contributi volontari sembra difficile.

Va detto poi che la parità anagrafica fra uomo e donna, introdotta dalla riforma Fornero, ha annullato l’unico sistema compensativo riconosciuto alle donne italiane. In molti Paesi dell’Europa sono previste correzioni che riconoscono maternità e periodi di mancata contribuzione per la cura delle persone. L’auspicio è che anche l’Italia si muova e faccia qualcosa per le pensioni delle donne.

Fonte: La Stampa

Condividi:
Facebooktwitterlinkedinmail

Pensione, uscita anticipata senza penalizzazioni

Ai lavoratori prestito da restituire in 20 anni.

Nessuna penalizzazione per la pensione anticipata, ma un prestito con un piano di ammortamento di venti anni, una copertura assicurativa e una detrazione fiscale sulla parte del capitale anticipato per alcuni soggetti più deboli e meritevoli di tutela. E’ la proposta messa sul piatto dal governo nell’incontro con i sindacati durante il quale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Tommaso Nannicini e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, hanno ribadito l’intenzione dell’esecutivo di non toccare la riforma Fornero.

Banche e assicurazioni.

Nannicini, in particolare, ha spiegato che il “coinvolgimento degli istituti finanziari, delle banche e delle assicurazioni” non verrebbe fatto per una questione ideologica ma nascerebbe esclusivamente dal rispetto dei vincoli di bilancio: la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, infatti, costerebbe dieci miliardi di euro l’anno, troppo per le casse dello Stato. All’incontro hanno partecipato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo che entrando al ministero ha detto: “Il Paese si aspetta qualcosa di buono, vediamo di non deluderlo”. Il governo ha ribadito l’intenzione di non modificare la legge Fornero e la volontà di consentire la flessibilità di uscita dei lavoratori con strumenti finanziari.

I negoziati.

La proposta dell’esecutivo è adesso al vaglio dei sindacati in vista del prossimo incontro del 23 giugno con i rappresentati dei lavoratori che aspettano di capire nel dettaglio, come il governo formalizzerà la proposta. Secondo quando emerso dalla riunione, il prestito pensionistico per chi lascia il lavoro prima dell’età di vecchiaia dovrà essere restituito con rate fino a 20 anni con gli interessi. Inoltre, ci sarebbe un costo diverso per chi perde il lavoro prima di raggiungere i requisiti per l’accesso alla pensione e per chi decide di lasciare spontaneamente l’impiego.

Il prestito.

Ai sindacati, Nannicini ha voluto spiegare che non si tratta di penalizzazione ma solo di una “rata di ammortamento”, come nel caso di un mutuo per l’acquisto di una casa o di un prestito per finanziare l’acquisto di un bene. L’ipotesi del Governo – riferiscono i sindacati – prevede che una banca anticipi l’importo finanziario della pensione netta per gli anni che mancano alla pensione di vecchiaia: una somma che poi verrebbe restituita nel tempo. Insomma non una vera penalizzazione sull’assegno previdenziale, ma una trattenuta per pagare la rata di ammortamento del prestito di 20 anni con la copertura assicurativa ed una detrazione fiscale sulla parte del capitale anticipato “per alcuni soggetti più deboli e meritevoli di tutela”. L’anticipo pensionistico sarà gestito dall’Inps cui – nell’ipotesi di Palazzo Chigi – spetterà l’onere di creare il rapporto con gli enti finanziari che erogheranno l’anticipo netto della pensione ai lavoratori che certificheranno la richiesta di pensionamento anticipato.

Il rischio penalizzazione.

Come detto, i sindacati aspettano di vedere come il governo entrerà nei dettagli della proposta. Uno studio recente della Uil, infatti, ipotizzare che l’uscita anticipata potesse costare fino a una mensilità l’anno: un calcolo basato sul meccanismo che probabilmente verrà adottato e cioè l’accesso alla pensione con un anticipo fino a 3 anni rispetto al requisito anagrafico richiesto, da “pagare” (attraverso un prestito di un istituto di credito, garantito dallo Stato) con una rata applicata sulla pensione. Ipotizzando un’indicizzazione del trattamento previdenziale pari all’1% per ogni anno e un tasso d’interesse applicato del 3,5%, un lavoratore che accedesse con un anno di anticipo e con un trattamento pari a 1.000 euro lordi perderebbe così il 6,9% della pensione, ovvero il corrispettivo di un importo mensile netto in meno ogni anno (898 euro). L’onere, chiaramente, crescerebbe all’aumentare degli anni di anticipo. Per questo i sindacati aspettano di capire a carico di chi sarebbero gli interessi.

Fonte: Adico

Condividi:
Facebooktwitterlinkedinmail