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RIFORMA DIRITTO FALLIMENTARE: ORA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE

La riforma del diritto fallimentare, vecchio di 74 anni, è adesso legge e sono molte le novità. Prima tra tutte la scomparsa nel nome del concetto di «fallimento», sostituito da un asettico «liquidazione giudiziale».

La riforma del diritto fallimentare si presenta come una rivoluzione. Nel tempo si è capito che gli effetti pratici e psicologici del fallimento, la stigmatizzazione sociale, le conseguenze giuridiche e l’incapacità di far fronte ai propri debiti erano diventate un deterrente per chi volesse avviare un’attività o ottenere una seconda opportunità. La principale modifica è dunque culturale: una crisi o l’insolvenza ai tempi d’oggi sono da considerare evenienze fisiologiche nel ciclo d’impresa, «da prevenire ed eventualmente regolare al meglio – dice ancora Orlando – ma non da esorcizzare: è dimostrato che gli imprenditori divenuti insolventi hanno maggiori probabilità di avere successo la seconda volta». 

I «concordati preventivi», molto deludenti (in media i creditori non recuperano più del 10%), saranno destinati per lo più a garantire la continuità aziendale con un occhio ai livelli occupazionali. Per tutti gli altri si prevedono «accordi di ristrutturazione», più efficaci, impedendo la cosiddetta «dittatura dei creditori di minoranza», quelli che attualmente avevano potere di veto, bastando l’adesione di titolari di crediti finanziari pari ad almeno il 75% dell’ammontare complessivo. Si colma infine una lacuna dell’attuale legge fallimentare che ignorava il fenomeno dell’insolvenza dei «gruppi d’imprese». Una realtà economica che forse nel 1942 era avveniristica, oggi è normalità. Si prevede la possibilità di proporre un unico ricorso sia per l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti dell’intero gruppo, sia per l’ammissione di tutte le imprese del gruppo alla procedura di concordato preventivo. Molto soddisfatti della riforma i commercialisti. 

Per ottenere performance migliori, nasce un «market place unico nazionale» per tutti i beni posti in vendita dalle procedure concorsuali ed esecutive. Una sorta di e-bay italiano delle insolvenze che rende commerciabili i beni non solo a fronte di denaro corrente ma anche con appositi titoli. Questi ultimi incorporano un diritto speciale attribuito ai creditori, da parte di un organismo terzo, a un valore minimo prudenziale, a fronte di una garanzia formata dagli attivi più facilmente vendibili e di valore durevole. 

Siccome al giudice fallimentare si richiederà una ben maggiore competenza nella gestione d’impresa, e quindi occorreranno sezioni molto specializzate, presso i tribunali delle imprese saranno concentrate le procedure d’insolvenza di maggiori dimensioni; quelle minori saranno ripartite tra un numero ridotto di tribunali. Ma l’annunciata revisione delle sezioni preoccupa le sedi più piccole. «È fondamentale che nel ridisegno si tenga conto del principio di prossimità, oltre a quello di specializzazione», chiede il senatore Bruno Astorre del Partito Democratico. 

Ci sarà una fase preventiva di «allerta», affidata ad un organismo pubblico, presso la Camera di commercio, volta ad anticipare l’emersione di una crisi. Obiettivo è una composizione assistita. Un accordo con i creditori o anche solo con alcuni. «In questa fase – spiegano i tecnici del ministero della Giustizia – le esigenze del debitore e dei suoi creditori sono contrapposte, ma non necessariamente divergenti». Se le cose dovessero proseguire male, seguirà la fase più propriamente giudiziaria.

Fonte: La Stampa

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