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Nuovo allarme dall’Istat: “Rallenta la crescita dell’economia italiana”

La nota mensile dell’istituto, relativa a maggio, segnala anche un calo degli ordinativi della manifattura. Nuovo allarme deflazione: prezzi in risalita solo in autunno. Luci ed ombre sul mercato del lavoro. Eurostat: corrono Spagna, Germania e Austria

Rallentamento della crescita dell’Economia “a breve” e deflazione. La nota mensile dell’Istat contiene due cattive notizie per l’economia italiana. L’Istat non dà la nostra economia per spacciata, anzi. Le famiglie spendono di più. Nel primo trimestre 2016 la crescita è stata dello 0,2% rispetto all’ultimo trimestre del 2015. E questo atteggiamento delle famiglie continua a far bene alla ricchezza nazionale (il Pil), che registra una crescita dello 0,3%. Gli stessi investimenti delle imprese sono in ripresa. Ma le buone notizie si fermano qui.

Continua la nota mensile: poiché le attese delle aziende e gli ordinativi della manifattura registrano “alcuni segnali di debolezza”, si mette in conto “un rallentamento nel ritmo di crescita nel breve termine“. Pesa anche la fiducia dei consumatori, in flessione da gennaio. Per prevedere questa tendenza al ribasso, gli statistici utilizzano uno strumento che si chiama “indicatore anticipatore composito” dell’economia.

L’altra cattiva notizia è che l’Italia resta in deflazione (situazione che conferma lo scarso dinamismo dell’economia). L’Istat prevede che i prezzi saranno “negativi o vicini allo zero nei mesi estivi” in assenza di “mutamenti sostanziali dello scenario internazionale”. L’inflazione potrebbe rialzare la testa solo in autunno quando i consumi interni – se in ripresa, come si immagina – spingeranno verso l’alto i prezzi.

In questo momento, i rincari riguardano soprattutto i carburanti, i tabacchi, gli “alimentari non lavorati”. Il tasso tendenziale si conferma al 7 per cento, ma solo per i beni “non alimentari e non energetici”. Proprio la bolletta elettrica, in forte calo per effetto del prezzo basso del petrolio, abbatte l’inflazione.

Il lavoro

Il mercato del lavoro è tutto luci ed ombre. Ad aprile gli occupati aumentano sia tra gli uomini (+0,3% su base congiunturale) sia tra le donne (+0,1%). La crescita ha coinvolto i dipendenti a carattere permanente (+0,2%, 35 mila occupati in più) e gli indipendenti (+0,3), a fronte di una sostanziale stabilità di quelli a termine.

Nello stesso mese, la disoccupazione ha ripreso ad aumentare (11,7%, un decimo in più rispetto a marzo). Il tasso di disoccupazione delle donne è cresciuto di cinque decimi, toccando quota 12,8%. Secondo l’Istat, questa tendenza è dovuta al fatto che tante donne – fiduciose ora di trovare un posto – si rimettono in movimento e, per questo, sono intercettate dal radar degli statistici. Intanto il tasso di disoccupazione maschile ha proseguito la discesa, raggiungendo ad aprile il 10,8%, un decimo di punto in meno rispetto al mese precedente.

E in futuro, come andranno le cose? “A maggio – scrive l’Istat – le aspettative degli imprenditori risultano in miglioramento nei soli servizi”, mentre c’è pessimismo “negli altri settori”. Questo pessimismo non sorpende per il futuro viste le dinamiche del recente passato. Già nei primi tre mesi dell’anno, il settore delle costruzioni è tornato a soffrire (meno 0,5%), la spesa per mezzi di trasporto si è fermata ad un +2,4%, mentre le esportazioni calano (meno 1,5%) a causa delle difficoltà delle economie emergenti e della Cina.

Ieri Bankitalia ha abbassato la sua stima di crescita del Pil 2016 a 1,1% (da 1,5%,), allineandosi a quanto previsto anche dal Fmi. Il governo prevede una crescita pari all’1,2%.

La situazione in Europa

Se l’Italia soffre, l’economia europea può sorridere. L’Eurostat – “cugino” europeo del nostro Istat – fissa allo 0,6% la crescia del Pil nella zona Euro (sempre nel primo trimestre del 2016). Questa accelerazione – la precedente stima era dello 0,5% – è imputabile alla bella prova di alcune piccole economie (Romania +1,6% e Cipro +0,9%). Ma vanno bene anche Spagna ed Austria (+0,8%), e la stessa Germania (+0,7%). I cali più sensibili in Ungheria (-0,8%), nella fragile Grecia (-0,5%) e in Polonia (-0,1%).

Fonte: La Repubblica

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La crisi economica ha fatto aumentare la mortalità per tumori

La crisi economica ha fatto aumentare la mortalità per tumori e malasanità. Tra il 2008 e 2010 oltre 260mila decessi in più.

La crisi economica non ha fatto male solamente alle tasche degli italiani. Ha fatto anche aumentare la mortalità per tumori e malasanità: tra il 2008 e il 2010 sono stati registrati 260mila decessi in più per cancro nei paesi Ocse e circa 160 mila nell’Unione europea.

E’ quanto rivela uno studio pubblicato su Lancet, la prima analisi completa che ha guardato all’effetto della disoccupazione e dei cambiamenti nella spesa pubblica per la salute sui decessi per cancro.

DISOCCUPAZIONE E CANCRO

Gli autori della ricerca, ricercatori delle università di Harvard, di Oxford, dell’Imperial College e del King’s College di Londra, hanno utilizzato dati della Banca Mondiale e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla ricerca di un collegamento tra disoccupazione, spesa sanitaria e mortalità per cancro in 75 nazioni, per oltre 2 miliardi di persone. L’amara conclusione a cui sono arrivati è che sia la disoccupazione, che i tagli alla sanità pubblica giocano un ruolo evidente in queste morti di troppo. Ancora più amara la constatazione che le morti in eccesso sono quelle evitabili, cioè quelle relative a tumori considerati “trattabili” (cioè con un tasso di sopravvivenza superiore al 50%), come quelli di mammella, colon-retto e prostata.

Proprio per i tumori trattabili si è verificata la maggior flessione: i cittadini non hanno avuto accesso alle dovute cure a causa di un reddito inferiore alla media e non sono potuti guarire. È stato calcolato che l’1 per cento di disoccupazione ha corrisposto ad un aumento delle morti dello 0,37 ogni 100mila persone.

TAGLI ALLA SANITA’

“Il cancro è un’importante causa di mortalità in tutto il mondo – afferma il dottor Mahiben Maruthappu dell’Imperial College di Londra – quindi comprendere come i cambiamenti economici possano influenzarne la sopravvivenza è di importanza cruciale. Nel nostro studio abbiamo riscontrato che un aumento dei tassi di disoccupazione si associa ad un’aumentata mortalità per cancro e che la copertura sanitaria universale protegge da questi effetti, soprattutto nel caso dei tumori trattabili. La spesa sanitaria è strettamente correlata alla mortalità per tumore e questo suggerisce che i tagli alla sanità potrebbero costare delle vite”.

Fonte: Qui Finanza

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Lavoro: in Italia il record europeo degli scoraggiati

Secondo le statistiche di Eurostat, l’Italia ha il numero più alto di disoccupati e sfiduciati che hanno smesso di cercare occupazione.

Un “serbatoio” di lavoratori da 3,55 milioni di persone. Sono in gran parte “scoraggiati”, italiani tra i 15 e i 74 anni che non hanno fatto un tentativo di cercare un lavoro, o che – in minima parte – hanno cercato lavoro ma non si sono dichiarati immediatamente disponibili a svolgere mansioni. Secondo le statistiche ufficiali di Eurostat, nessuno come l’Italia registra un esercito tanto folto di persone che restano ai margini del mercato del lavoro, non indossando la casacca di occupati e neppure quella di persone in cerca di occupazione.

istat lavoro

Le cifre

I numeri sono stati pubblicati in settimana dall’ufficio statistico europeo e il grafico mostra chiaramente come l’Italia si distanzi dagli altri Paesi. Nel complesso dell’Unione, infatti, ci sono 11,4 milioni di lavoratori potenziali, un quarto dei quali risiede tra le Alpi e la Sicilia. In Germania, giusto per fare il raffronto con i primi della classe, i lavoratori potenziali sono solo un milione, il 2,4% della forza lavoro complessiva contro il 14% italiano. Il bacino si divide in due gruppi: chi è disponibile a lavorare, ma non lo cerca, e chi cerca ma non è immediatamente disponibile. Il primo sottogruppo è generalmente più ampio del secondo e questo avviene in maniera rilevante in Italia, a testimoniare una maggior incidenza di scoraggiati (senza dimenticare il ‘sommerso’). Per altro, si tratta di un esercito di persone che se si riversasse improvvisamente alla ricerca di lavoro, non trovando sbocchi, innalzerebbe sensibilmente i valori del tasso di disoccupazione, che sta lentamente scendendo.

Già altri studi, per esempio del Bruegel, indicavano come la crisi avesse esacerbato il problema tra i giovani: l’Italia vanta il poco gioioso primato dei Neet, ragazzi che non sono né al lavoro né agli studi. Eurostat ha invece quantificato che negli anni della crisi (2008-2015) sono cresciute, nel Vecchio continente, il numero di persone che non hanno cercato lavoro pur volendolo (+1,8 milioni), che aggiungono il già duro trend di crescita dei disoccupati (+6,1 milioni).

Il rapporto di Eurostat non si è limitato a indagare il fenomeno della forza lavoro potenziale, ma ha altresì registrato il numero di lavoratori part-time sotto-occupati, cioè che avrebbero volentieri rimpinguato il loro orario di lavoro. Gli europei a tempo parziale sono 44,7 milioni, due su dieci occupati, e di essi sono ben 10 milioni quelli che la statistica considera forzatamente in quella condizione: quasi un quarto (22,4%) di tutti i lavoratori a tempo parziale e il 4,6% del totale degli occupati. Il problema affligge in modo particolare le donne, che sono i due terzi dei sotto-occupati a tempo parziale. Almeno in questo caso, l’Italia non spicca per i suoi numeri: i sotto-occupati sono 748 mila, il 3,3% degli occupati.

Fonte: Repubblica.it

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Il contadino batte la globalizzazione: un italiano su quattro fa la spesa da lui

E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè

Nel mercato globalizzato dell’Unione europea, del Ttip e dove anche Amazon si è messo a fare concorrenza agli alimentari tradizionali vince – a sorpresa – il vecchio contadino tornando prepotentemente di moda. Negli ultimi cinque anni, infatti, triplicati gli italiani che fanno la spesa nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori dove è stato raggiunto il record di 15 milioni di presenze nel 2015 (un italiano su quattro).

E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè, a 15 anni dall’approvazione della legge di orientamento che ha allargato i confini dell’imprenditorialità agricola, aprendo a nuove opportunità occupazionali nell’agri-benessere, nella tutela ambientale, nel risparmio energetico, nelle attività sociali, nella trasformazione aziendale e nella vendita diretta. “Un exploit da ricondurre – sottolinea la Coldiretti – all’attenzione per il benessere, la forma fisica e la salute, oltre che alla crescente attenzione alla sostenibilità ambientale e alla valorizzazione del proprio territorio, come dimostra il fatto che il 70% degli italiani è addirittura disposto a pagare di più un alimento del tutto naturale, il 65% per uno che garantisce l’assenza di Ogm, il 62% per un prodotto bio e il 60% per uno senza coloranti”.

La domanda di naturalità, spiega la Coldiretti, ha fatto nascere anche nuovi prodotti come gli ‘agri-gelati’ che utilizzano il latte dalla stalla al cono, le ‘agri-birre’ con l’impiego dell’orzo aziendale in un contesto produttivo a ciclo chiuso garantito dallo stesso agricoltore o gli ‘agri-cosmetici’ che sono ottenuti da proprie coltivazioni o allevamenti, da quelli a base di bava di lumaca al latte d’asina, al miele, all’olio o al vino. Si assiste inoltre anche ad inaspettati ritorni come il pane del contadino che utilizza grano recuperato dal rischio di estinzione.

Un vero boom, sottolinea l’organizzazione agricola, che ha portato alla nascita di oltre diecimila punti vendita gestiti direttamente dagli agricoltori tra fattorie e mercati lungo tutta Italia dove trovano sbocco, tra l’altro, almeno 100 varietà vegetali definite minori e prodotti ottenuti da 30 diverse razze di bovini, maiali, pecore e capre allevati su scala ridotta.

Fonte: Adico

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