Istat, la staffetta generazionale non funziona. La fotografia del paese.

I giovani sono sovraistruiti per i lavori che fanno e il loro peso è sempre minore. Sono impiegati soprattutto nel privato. Calano i Neet, ma restano 2,3 milioni.

C’è la ripresa moderata del Pil e la crescita dei consumi delle famiglie spinta dall’aumento del reddito disponibile, la ripresa degli investimenti e la lenta fuoriuscita delle nostre imprese dalla crisi, e c’è il lavoro (a cominciare però da quello che ancora manca) nella fotografia che scatta l’Istat col suo Rapporto annuale.

Un’analisi molto dettagliata sulla situazione del Paese e le sue prospettive, e sulle trasformazioni sociali e demografiche (la popolazione italiana diminuisce e invecchia). Con una lettura che attraversa le varie fasce generazionali: giovani, adulti, anziani, dalla Generazione della ricostruzione a quella del Baby boom, dalla Generazione di transizione a quella del Millennio (la più colpita dalla crisi) sino all’ultima, la Generazione delle reti.

Generazioni in conflitto

Generazioni in conflitto, in alcuni casi, reti e complementarietà da costruire in altri. Nuovi problemi che emergono, primo fra tutti quello delle protezioni sociali che si rendono necessarie oggi e nel futuro prossimo. E tra le righe il rapporto dell’Istat mette in dubbio che uno dei temi più dibattuti degli ultimi tempi, quello che la staffetta generazionale giovani/anziani sui luoghi di lavoro possa funzionare davvero per dare una prospettiva di lavoro alle nuove generazioni, come tanti economisti (ma anche i sindacati) sostengono. Il confronto tra i 15-34enni occupati da non più di 3 anni al primo lavoro e le persone con più di 54 anni andate in pensione negli ultimi 3 anni, infatti, secondo l’Istat fa emergere l’esatto contrario: la difficile sostituibilità “posto per posto” di giovani e anziani. Mentre i giovani entrano soprattutto nei servizi privati – 319 mila nei comparti del commercio, alberghi e ristoranti e servizi alle imprese, a fronte dei 130 mila in uscita – in altri settori le uscite non sono rimpiazzate dalle entrate (125 mila escono da Pubblica amministrazione e istruzione contro 37 mila entrate). Fine dell’illusione, insomma.

Del resto, rileva il rapporto Istat, tra il 2004 e il 2015 giovani e adulti presentano dinamiche opposte. Innanzitutto, il peso decrescente dei 15-34enni sul totale degli occupati testimonia il progressivo invecchiamento della forza lavoro. A questo si aggiunge la diversa struttura dell’occupazione: gli occupati di 55-64 anni sono più presenti nei settori tradizionali (agricoltura, servizi generali della pubblica amministrazione, istruzione e sanità), i giovani nei servizi privati, in particolare alberghi e ristoranti e commercio. Inoltre, il maggiore investimento in istruzione dei più giovani non trova riscontro nella qualifica del lavoro svolto, tanto che il numero dei sovraistruiti fra i 15-34enni è quasi il triplo di quello degli adulti.

Fonte: La Stampa

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