L’anno scorso hanno usufruito dell’assegno dell’Inps le famiglie di 330mila bambini.
Più soldi per dare una mano a chi fa figli ad affrontare le spese. Il drammatico calo della natalità nel nostro Paese spinge il ministero della Sanità a cercare contromisure, e la prima è la revisione del bonus bebè inaugurato nel 2015. Le coppie che mettono al mondo un bambino riceveranno un assegno doppio di quello emesso oggi dall’Inps. Se poi decidono di dare al primo figlio un fratellino, avranno una cifra ancora superiore. Questa è l’idea di base del progetto che Beatrice Lorenzin vuole inserire nella prossima legge di Stabilità, ovviamente aumentando gli stanziamenti ma sfruttando allo stesso tempo i risparmi già derivati dal calo delle nascite, che sta facendo rivedere al ribasso i preventivi di spesa per il contributo alle famiglie fatti appena due anni fa. “Bisogna agire ora o sarà troppo tardi: rischiamo un crac demografico”, dice Lorenzin in un’intervista a Repubblica oggi in edicola.
Il bonus bebè oggi e fino al 2017 è riconosciuto ai nuclei familiari che hanno un Isee inferiore a 25mila euro all’anno e a quelli che lo hanno più basso di 7mila. I primi ricevono 80 euro al mese (960 all’anno) per ogni figlio, i secondi 160 euro (1.920 all’anno). Per avere un’idea del significato delle soglie, si stima l’Isee da 25mila euro sia quello di una coppia che guadagna 45mila euro lordi all’anno, vive in una casa con una rendita da 600 euro, ha un mutuo per 50mila euro e nel conto corrente ha 15mila euro. L’indice è infatti legato al reddito ma anche alle eventuali proprietà e pure ai debiti e al numero di componenti del nucleo familiare. Bisogna fare domanda all’Inps per essere ammessi al contributo, valido anche per i figli in affido o adottati fino al terzo anno di età o di ingresso nel nucleo familiare.
Il 2015 è stato il primo anno in cui il numero dei nati è sceso sotto la soglia simbolica di mezzo milione. Secondo i dati di Istat, ancora provvisori ma con alta probabilità di essere confermati, ci si è fermati a 488mila. Circa il 20% dei bambini sono figli di coppie immigrate nel nostro Paese. Nel 2010 il dato era di 561mila.
Lorenzin ha fatto due progetti, uno meno costoso per lo Stato e uno più impegnativo, quasi da Paese nord europeo. Nel primo caso viene raddoppiata la quota mensile per il primo figlio, portandola cioè a 160 e a 320 a seconda della soglia di Isee. Dal secondo in poi l’aiuto non resta lo stesso, come avviene adesso: alle famiglie andranno rispettivamente a 240 e 400 euro. Inoltre nel progetto del ministero c’è l’intenzione di allungare la validità della misura. Al momento il bonus è previsto per i bambini nati dal primo gennaio 2015 al 31 dicembre del 2017, nel progetto Lorenzin la durata è portata fino al 2020. Se entrerà in vigore il nuovo regime, a coloro che hanno fatto un figlio prima del 2015 e ne hanno un altro nel periodo di validità del contributo viene riconosciuta la cifra mensile più alta.
L’anno scorso sono state 330mila le coppie che hanno ricevuto il bonus. Di queste 245mila hanno avuto il contributo da 80 euro al mese e le altre da 160. La legge di Stabilità del 2015 ha stanziato circa 3,6 miliardi per sei anni. Nella proposta elaborata dagli uffici del ministero della Sanità si prevede un aumento della spesa di circa 2,2 miliardi, tenendo conto dell’incremento dei costi ma anche del miliardo di euro di risparmio rispetto alle previsioni a causa del calo delle nascite.
Ma Lorenzin e i suoi tecnici hanno pensato anche a una proposta molto più forte da portare al Consiglio dei ministri per essere valutata. Si tratterebbe intanto di alzare la soglia massima Isee a 30mila euro all’anno, cosa che ammetterebbe al contributo molte più coppie, almeno altre 60mila. Inoltre si prevederebbe un sostegno molto importante per chi ha un indicatore della ricchezza sotto i 7mila euro. Si darebbero 320 euro al mese per il primo figlio e 480 per il secondo, con una misura che diventerebbe di sostegno alla povertà. Ma ci vorrebbero molti miliardi in più per tenere in piedi un sistema così congegnato. E l’intenzione di fare un vero cambio strategico delle politiche del welfare.
Fonte: La Repubblica
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