Tutti gli articoli di cittadipadova

virus

ITALIA AL QUARTO POSTO NEL MONDO PER NUMERO DI ATTACCHI RANSOMWARE SUBITI NELL’ ULTIMO ANNO

Il malware blocca l’accesso al computer e offre al suo proprietario la restituzione dei propri dati in cambio di denaro. Un vero e proprio riscatto elettronico. Il nostro paese è tra i più colpiti al mondo.

Gli attacchi di sistemi ransomware e di virus informatici che bloccano i documenti chiedendo un riscatto rappresentano una vera e propria minaccia per le aziende e per le imprese industriali, in particolare vengono colpite quelle che dispongono di infrastrutture più delicate poiché l’attività dei vari malware causa l’interruzione di tutti i processi industriali. Il malware infatti blocca l’accesso a un computer e offre al suo proprietario la restituzione dei propri dati in cambio di denaro. Un vero e proprio riscatto elettronico. Sugli schermi dei computer presi di mira, che non possono essere riavviati, appare un messaggio che chiede una somma per sbloccare i dati.

Il nostro paese è tra i più colpiti al mondo, secondo Datamanager tra il mese di marzo e aprile 2018 l’Italia è risultata quarta al mondo per numero di attacchi malware subiti, con un totale del 13% nella media europea. Il ransomware WannaCry ha intaccato in 150 paesi di tutto il mondo computer di persone e imprese coinvolte in vari e diversi tipi di produzione, infrastrutture urbane, impianti e raffinerie. Si stima inoltre che lo 0,5% dei computer sia stato attaccato almeno una volta nella prima metà del 2017.

Questi attacchi informatici rappresentano purtroppo una minaccia concreta per le aziende di tutto il mondo, soprattutto per le filiere logistiche costituite da vari organizzatori industriali.

Per rispondere alla minaccia è stato indetto un simposio scientifico internazionale INCOM2018 – Information Control Problems in Manufacturing (Bergamo, 11-13 giugno 2018), organizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Bergamo e congiuntamente dal Politecnico di Milano,

L’ Italia inoltre, nelle ultime settimane sta combattendo contro un malware, chiamato Ursnif , in grado di rubare password usate per operazioni di home banking, acquisti online e posta elettronica. Lo hanno scoperto i ricercatori di CSE, CybSec Enterprise; le vittime di Ursnif ricevono un’email con allegato un documento Word che richiede l’abilitazione di una serie di comandi che permettono la visualizzazione dello stesso. Il malware è programmato per sopravvivere e restare attivo anche al riavvio del computer, in questo modo il programma garantisce a se stesso la propria esecuzione ogni volta che il pc viene acceso.

Fonte: Comunicazione globale

Condividi:
Facebooktwitterlinkedinmail
pensioni

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DEL GOVERNO CONTE RISCHIA DI AVVANTAGGIARE I LAVORATORI PIÙ FORTI

Dalle prime indiscrezioni sul dossier sul tavolo del Nuovo Governo Lega Cinquestelle la riforma delle pensioni potrebbe avvantaggiare gli impiegati pubblici a discapito di anziani disoccupati e lavoratori impegnati in attività gravose.

La riforma sembra proprio favorire i lavoratori più «forti» come gli uomini residenti al Nord e con impieghi più stabili mentre potrebbe portare ad un’uscita più lontana nel tempo le donne e coloro che hanno avuto lunghi periodi di disoccupazione e cassa integrazione.

Dalle ultime notizie sembra possa essere accantonata l’esperienza dell’Ape social ma anche la pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica prevista ora per i lavoratori precoci impegnati in attività gravose o per quelli e che pur contando su questo numero di anni di contributi ora sono disoccupati. Si sta prendendo in considerazione la cosiddetta quota 100 con almeno 64 anni di età (e quindi almeno 36 di contributi) o un’uscita con 41 anni e mezzo di contributi. Ma vediamo nel dettaglio alcuni esempi di quali lavoratori potrebbero guadagnarci e quali perderci nel 2019 rispetto alla situazione attuale.

IMPIEGATO PUBBLICO NATO NEL GENNAIO 1955 CHE LAVORA DALL’82: CI GUADAGNA, potrebbe andare in pensione nel gennaio 2019, a 64 anni con 37 anni di contributi. Con le regole attuali resterebbe invece al lavoro fino al 2022, uscendo dopo i 67 anni di età dato che dovrebbe esserci un nuovo scatto per l’aspettativa di vita.

DONNA ORA DISOCCUPATA NATA NEL GENNAIO 1956 CHE HA LAVORATO DAL 1985 al 2015: CI PERDE. Se l’Ape social continuasse nel 2019 potrebbe chiedere a 63 anni e 5 mesi di avere il sussidio dato che è ha esaurito da oltre tre mesi la Naspi, è disoccupata e ha almeno 30 anni di contributi. Le madri, al momento, hanno poi un maggiore ‘scontò sui contributi per ogni figlio: un anno per figlio con un massimo di due anni. Con le nuove regole previste dalla nuova riforma, non avendo i contributi necessari alla quota 100 potrebbe dover aspettare – se non ci sarà una clausola di salvaguardia ad hoc – i 67 anni andando quindi nel 2023 (a questo andrà aggiunta la nuova aspettativa di vita nel 2021 e nel 2023).

LAVORATORE PRECOCE NATO ALL’INIZIO DEL 1960 CHE LAVORA DA 1978 CON LUNGHI PERIODI DI CASSA INTEGRAZIONE, impegnato in attività GRAVOSE. CI PERDE: Con le regole attuali uscirebbe nel 2019 con 41 anni e cinque mesi di contributi (l’anno prossimo scatta l’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita). Con le riforma dai 41 anni e mezzo di contributi necessari verrebbero esclusi alcuni anni di contributi figurativi previsti dalle regole sulla cassa integrazione e dovrebbe aspettare di avere 43 anni e tre mesi di contributi e uscire con la pensione anticipata.

LAVORATORE NATO NEL 1956 IMPIEGATO IN UNA GRANDE AZIENDA DAL 1978 SENZA AVER MAI AVUTO PERIODI DI CONTRIBUZIONE FIGURATIVA: CI GUADAGNA; con le nuove regole andrebbe in pensione nel 2019 con 41 anni e mezzo di contributi. Con le regole attuale dovrebbe aspettare di raggiungere almeno i 43 anni e tre mesi di contributi uscendo nel 2021 (e subendo probabilmente un nuovo aumento dell’aspettativa di vita).

PENSIONATO «D’ORO»: CI PERDE, MA NON È DETTO: se scattano i tagli alle pensioni superiori ai 5.000 euro netti (circa 8.500 euro lordi) per la parte del trattamento non legata ai contributi versati ci perde circa il 5-6% dell’assegno. Ma se in contemporanea viene introdotta la flat tax facendo parte della fascia reddituale più alta ci guadagna.

Fonte: ADICO

Condividi:
Facebooktwitterlinkedinmail
tax

NUOVO MODELLO FISCALE A DUE ALIQUOTE NEL PIANO DEL GOVERNO CONTE: 15% e 20% IN BASE AL REDDITO

La rivoluzione fiscale è rimandata ma solo in parte, a partire dal 2020 i cambiamenti saranno consistenti; le famiglie italiane potranno contare su due aliquote,  con risparmi soprattutto per i contribuenti appartenenti alla fascia medio alta.

Per chi guadagna di meno, scatterà un meccanismo di deduzioni e detrazioni che dovrebbe distribuire i vantaggi su tutte le fasce di reddito. Inoltre verrà inserita una clausola di salvaguardia che consentirà in ogni caso di non pagare più tasse rispetto ad oggi.

Che cos’è la flat tax? La flat tax è un modello fiscale che si applica attraverso l’introduzione di una tassa piatta basata SOLO ed esclusivamente su 1 aliquota bassa e unica per tutti, capace di ridurre fortemente l’evasione e di aumentare le entrate dello Stato. In pratica la flat tax è una tassa piatta e unica, molto più bassa di quelle attualmente presenti in Italia, che qualora introdotta, porterebbe ad avere un’imposta unica sui redditi intorno al 15-20%.

FAMIGLIE: DUE ALIQUOTE La rivoluzione vera e propria scatterà nel 2020 e, quindi, con le dichiarazioni del prossimo anno. In sostanza, più che una flat tax si dovrebbe parlare di una ‘dual tax’, poiché appunto prevede due aliquote. Una del 15% per i redditi familiari fino a 80mila euro, l’altra al 20% per chi guadagna di più. Per la prima fascia, inoltre, dovrebbe scattare una riduzione fissa di 3mila euro. Per i redditi fino a 35mila euro, la riduzione riguarderà tutti i familiari. Fra i 35 e i 50mila euro, la riduzione scatterà solo per i familiari a carico. La rivoluzione fiscale del governo giallo-verde dovrebbe costare fra i 35 e i 40 miliardi. Oggi invece ci sono 5 aliquote e altrettanti scaglioni Irpef. Il primo comprende i contribuenti con un reddito compreso tra 0 e 15.000 euro l’anno. In questo caso l’aliquota Irpef è del 23%. Il secondo scaglione va da 15.001 a 28.000 euro, con un’aliquota del 27%. Il terzo scaglione è compreso tra 28.001 e 55.000 euro e l’aliquota è fissata al 38%. Il quarto coinvolge i contribuenti da 55.001 a 75.000 euro: l’aliquota è del 41%. Oltre i 75.000 euro di reddito, quinto e ultimo scaglione, aliquota al 43%.

IMPRESE: 15% – Per le imprese individuali e le società di persone la flat tax esiste già. Si chiama Iri (imposta sul reddito di impresa) ed è stata introdotta con la finanziaria del 2017. L’aliquota, però, è del 24%, molto più alta della flat tax per le imprese che nel contratto giallo-verde si attesta sul 15%. Il risparmio potrebbe essere considerevole.

Meno Irpef ma più Iva? Per ora è solo un’ipotesi ma l’idea di spostare una parte del carico fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette non è mai tramontata del tutto. E potrebbe dare un contributo sostanzioso per far partire la riforma fiscale. Se davvero l’esecutivo ha intenzione di disinnescare completamente le clausole di salvaguardia sottoscritte dall’Italia con Bruxelles, dovrebbe tirare fuori almeno 31,5 miliardi nei prossimi due anni (12,4 nel 2019 e 19,1 nel 2020). Tutti interventi per i quali occorre trovare coperture strutturali e non una tantum. Se le clausole non saranno cancellate nella prossima manovra, dal primo gennaio 2019 l’aliquota intermedia dell’Iva passerà dal 10 al 12%, e al 13% dal 2020, mentre l’aliquota ordinaria passerà nel 2019 dal 22 al 24,2% e al 24,9% nel 2020, anno in cui scatterà anche l’aumento delle accise sui carburanti per 300 milioni. Per il momento, tuttavia, tutte le forze politiche si sono dette contrarie all’aumento dell’Iva. Operazione difficile da giustificare dopo una campagna elettorale che ha avuto proprio nel taglio delle tasse uno dei principali cavalli di battaglia.

COPERTURE : Per finanziare la flat tax Lega e M5S prevedono una sorta di rottamazione delle cartelle ex Equitalia accumulate fino al 2015. Lo sconto sarà però legato al reddito del contribuente moroso. E saranno favoriti i cittadini più deboli. Ci sarà anche una revisione dei trasferimenti dello Stato alle imprese: oggi si attestano intorno ai 30 miliardi.

Fonte: ADICO

Condividi:
Facebooktwitterlinkedinmail